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San Cassiano di Crespino: scavi delle Università di Pavia e Ferrara

San Cassiano è località già ben individuata nella cartografia degli inizi del XVIII secolo, con assai probabili ascendenze medievali, sita a pochi chilometri da Rovigo, lungo un paleoalveo che Raffaele Peretto ha riferito a un affluente o ramo secondario del potamòs Adrias, il Po di Adria. Nel paesaggio dell'età del Ferro dobbiamo immaginare il nostro anonimo corso d'acqua ormai senescente, se non del tutto esaurito, con gli spalti dell'alveo discretamente sopraelevati sul piano di campagna, a configurare un risalto morfologico naturalmente difeso dall'impaludamento e perciò idoneo a ospitare e a orientare topograficamente i fenomeni insediativi.

Vecchi e nuovi trovamenti archeologici, insieme con le indicazioni provenienti dal sorvolo aereo a bassa quota e dalla ricerca di superficie, sembrano delineare una notevole concentrazione del popolamento, specie negli ultimi decenni del VI secolo e nel V, lungo corsi d'acqua minori o comunque su dossi fluviali, con pattern distributivo chiaramente funzionale ad una direttrice di penetrazione E-W (dagli approdi del Delta verso l'interno della Val Padana), che cospicue evidenze di cultura materiale - e qualche significativo documento epigrafico - hanno indotto a interpretare in senso "etrusco" (o forse meglio e come si suol dire "etrusco-padano").

A San Cassiano gli scavi delle Università di Pavia e di Ferrara (1994-98) hanno messo in luce, oggi possiamo dire quasi per intero, i resti discretamente conservati di una abitazione edificata allo scorcio del VI secolo a.C., con una fase iniziale di vita ben documentata nel primo quarto del V, una ristrutturazione planimetrica (conseguita a episodio d'incendio) non anteriore al 470, e una seconda fase databile in pieno V secolo.

La casa è costruita con la tecnica dell'incannucciata, vale a dire con pareti in armatura lignea riempita e spalmata di argilla, su robusti zoccoli di fondazione in conci di trachite; il crollo del tetto risultava asportato già in antico, ma alcuni frammenti laterizi recuperati sia nella stratificazione dell'edificio sia (e soprattutto) in uno scarico posto una trentina di metri a occidente, ripropongono il tipo di tegole rettangolari a bordi rialzati che conosciamo molto bene, per esempio, a Marzabotto.

La casa si sviluppa per una lunghezza di quasi tredici metri in direzione N-S, con larghezza accertata di circa quattro e mezzo (ma presumibilmente doppia) in senso W-E: nella fase per noi più nitida per informazioni archeologiche, diciamo tra il 510 e il 470 all'incirca, più di otto metri della lunghezza corrispondevano a un solo grande vano, dotato di una soglia d'accesso praticata nella parete occidentale - ciò che permette d'individuare proprio nel lato w la 'facciata' - e di un secondo passaggio, nella parete opposta, che lo metteva in comunicazione con un altro vano, leggibile, purtroppo, solo 'in negativo' attraverso la fossa di asportazione della sua parete N, e non ancora definibile nella sua intera estensione planimetrica. Nella ristrutturazione che, dopo un incendio, rimodellò l'edificio in un momento abbastanza avanzato del v secolo, il grande vano con ingresso a W venne suddiviso in due stanze approssimativamente quadrate, e quella meridionale, altrimenti cieca, dotata di un suo accesso indipendente - sempre aperto nella 'facciata' occidentale. E' questo pure il momento in cui furono asportati i muri del vano orientale - rimpiazzato da un'area probabilmente all'aperto, a cortile -, e chiusa, ovviamente, la porta del lato E, ormai inutile; mentre anche il muro settentrionale del vano in origine maggiore fu rimosso e lasciò posto a una specie di palizzata, che divideva la stanza mediana (venutasi così a configurare) da un altro ambiente collocato ancor più a settentrione: questo accoglieva ciò che sembra ora interpretabile come un ampio piano di cottura, realizzato in concotto di argilla fittamente inzeppata di cocci.

La scansione cronologica che abbiamo riassunto è ritmata da non numerosi, ma indicativi rinvenimenti di ceramica attica figurata: per lo scorcio del VI secolo, il piede di una grande kylix tipo C; per la fine del primo quarto del V secolo, cocci
ascrivibili a gruppi tardivi della produzione a figure nere e una lekythos decorata a palmette, non lontana dalla bottega del Pittore della Megera; per la fine del terzo quarto, frammenti di kylikes a figure rosse di stile classico ormai maturo - questi ultimi non vengono peraltro dal depositi della casa, bensì dallo scarico che si è sopra ricordato, in riferimento alla rimozione delle tegole. Di un certo rilievo cronologico, oltre che culturale, sono poi due frammenti a figure nere (ricomponibili: gamba maschile) sicuramente non attici - un'imitazione locale ? o un'importazione dall'Etruria propria, da Chiusi piuttosto che da Vulci ? -, che si possono collocare accanto al terminus più alto della sequenza.

La funzione abitativa dell'edificio, inizialmente non evidentissima, è ora assicurata, oltre che dal supposto piano di cottura del vano N (sopra il quale sono stati rinvenuti gli unici reperti bronzei di qualche interesse: l'ansa frammentaria di una situla e un coperchio), dal rinvenimento di pesi da telaio e fuseruole fittili (nella stanza quadrata meridionale) e, più in generale, dall'abbondante documentazione di vasellame domestico: grandi forme, da cucina e da magazzino, in ceramica grezza (olle e dolii - quelli cordonati sono praticamente identici agli esemplari usati come cinerari nella necropoli di Ca Cima ad Adria), e molte coppe in ceramica depurata della classe usualmente detta 'etrusco-padana'. In proposito, è il caso di sottolineare come, a San Cassiano, non vi sia quasi traccia d'impasti buccheroidi e, nell'ambito delle ceramiche 'fini', la depurata etrusco-padana risulti per così dire egemone già negli strati più antichi, a fronte di una relativamente scarsa incidenza statistica di quella grigia.

Per una definizione etnico-linguistica dell' insediamento sarebbe ovviamente importante disporre di testimonianze epigrafiche, che non sono del tutto assenti ma, limitandosi di regola a singoli segni alfabetici graffiti, non permettono deduzioni decisive.

Due dati conoscitivi affatto nuovi riguardano il contesto più generale del paesaggio umano di cui la casa di San Cassiano era parte. In primo luogo dev'essere sottolineato come la nostra indagine stratigrafica abbia raggiunto livelli antropici inferiori e perciò anteriori a quello di fondazione dei muri, a dimostrazione che l'edificio di epoca tardoarcaica e classica non nacque nel vuoto, ma in un'area già interessata da fenomeni di frequentazione: questi livelli antropici più antichi sono di non agevole esplorazione, per l'affioramento della falda, ma cercheremo comunque di sondarli nelle prossime campagne e di recuperarne una corretta definizione cronologica. Attirano in particolare la nostra attenzione quelle che sembrano essere tracce di aratura, a conferma dell'emersione del dosso fluviale e della sua idoneità alle lavorazioni agricole sin dalla prima età del Ferro; sulla base della nostra campionatura paleobotanica, del resto, Mauro Rottoli (Musei Civici di Como) ha già potuto determinare colture di frumento, orzo, farro, piccolo farro, panìco, favino, cicerchia, lenticchia, vite e, con minor grado di sicurezza, di veccia, pisello e fico.

Il secondo apporto conoscitivo che ci preme rendere noto in questa sede, riguarda la situazione dell'edificio indagato in rapporto ad altri eventuali ancora da individuare sul terreno: insomma, la sua possibile appartenenza a un minuscolo villaggio o al quartiere di un abitato discontinuo e organizzato in più nuclei - come farebbero sospettare certe evidenze della ricognizione di superficie -, o per contro una sua tendenziale autosufficienza, in un paesaggio prettamente rurale. Per tentare di dar risposta a questo interrogativo, abbiamo affidato al collega Giovanni Santarato, dell'Istituto di Mineralogia dell'Università di Ferrara, l'esecuzione di una campagna di prospezioni magnetiche nel podere Andreotti, il fondo dove appunto stiamo conducendo i nostri scavi: i rilievi sono stati effettuati nel mese di marzo 1999, utilizzando un magnetometro al cesio (molto più 'veloce' di quelli tradizionali a protoni), e hanno fornito una mappatura, a maglia stretta, di 20.000 metri quadrati che comprende, procedendo da E verso W, insieme con la zona dei nostri saggi stratigrafici, tutta l'area interessata da affioramenti in aratura, sino a sfiorare il bordo dell'antico alveo fluviale, e inoltre - per verifica 'in negativo' - una sorta di 'corridoio' ancor più occidentale, a cavaliere dell'alveo medesimo. La disponibilità di cospicue evidenze di scavo ci avrebbe permesso, almeno in teoria, di confrontare efficacemente le anomalie indotte dalle strutture già individuate sul terreno, con altre simili di strutture ancora da indagare.

Il risultato, occorre ammetterlo, conferma assai più di quanto suggerisca: nella mappa geomagnetica, un'anomalia maggiore corrisponde verosimilmente a quella dell'edificio in corso di scavo, così come una seconda evidenziata circa trenta metri a w sembra coincidere con l'area 'di servizio' messa in luce nel 1995 - per intenderci, il sito delle tegole scaricate. Una terza anomalia, vistosa e tipologicamente affine a quella dell'edificio già noto, si può osservare una ventina di metri a NE, e si tratta con ogni probabilità di un'altra struttura a fondazioni litiche.

L'insieme sembra comunque restituire l'immagine di un insediamento piccolo e concentrato, come può essere stato quello di una fattoria coloniale, all'interno di una chora atipica, spezzata in 'corridoi' più alti e asciutti dalla diffusione dendritica dei corsi d'acqua. Anche la minuscola necropoli, sicuramente etrusca, delle Balone (solo quattro inumazioni), a breve distanza da San Cassiano, crediamo sia riferibile a un'unità insediativo-produttiva dello stesso tipo, nel quadro di un paesaggio agrario probabilmente pianificato.
 
 

Bibliografia

Degli scavi delle Università di Pavia e di Ferrara a San Cassiano - condotti d'intesa con la Soprintendenza Archeologica del Veneto e in collaborazione col Museo dei Grandi Fiumi di Rovigo, con supporto finanziario dell'amministrazione regionale e per amichevole ospitalità del Comune di Crespino -, oltre alle brevi notizie regolarmente pubblicate in "Padusa. Notiziario del C.P.S.S.A.E." e a quelle apparse in sede di affermate riviste divulgative ("Archeo", "Archeologia viva"), si vedano i seguenti resoconti scientifici:

M. HARARI, La seconda età del Ferro nel Polesine: nuove ricerche delle Università di Pavia e di Ferrara, in Proceedings of the VIII Congress I.U.P.P.S (Forlì, 8-14.IX.1996), IV, 12, Forlì 1998, pp. 683-690;

ID. - (E. CALANDRA), Un edificio tardoarcaico presso il paleoalveo di San Cassiano, in Protostoria e storia del Venetorum angulus (Atti del XX Convegno di Studi Etruschi), Pisa-Roma 1999, pp. 627-635

ID., Note di aggiornamento sugli scavi delle Università di Pavia e di Ferrara nell'entroterra di Adria, in I Greci in Adriatico (Convegno Internazionale. Urbino, 21-24.X.1999), in corso di stampa.

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