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La casa di Olgiate e altre poesie

a cura di Renzo Cremante, Gianfranca Lavezzi

di Eugenio Montale

Milano, Mondadori, 2006. - XIV, 100 p., [10] p. di tav. : ill. (Lo specchio. I poeti del nostro tempo)

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Il 2006, centodecimo anno dalla nascita di Montale, ha ispirato un revival della sua fortuna critica e filologica, inevitabilmente attenuatasi dopo i fasti del centenario. Tra le Lettere a Clizia e le recentissime Lettere da casa Montale (1908-1938), si colloca il volume di reperti poetici curato da Cremante e Lavezzi.
La casa di Olgiate e altre poesie include la lirica eponima, di misura medio-ampia (quattro strofe di otto versi), e una sequenza di cinquantacinque testi brevi, per lo più senza titolo. Tutte inedite e composte tra il 1963 e il 1980 (ma in gran parte nel periodo 1978-1980), le poesie fanno parte del materiale donato al Fondo manoscritti dell'Università di Pavia da Gina Tiossi, che ha accudito Montale per lunghi anni. Proprio a Pavia e a Lugano furono esposti, tra il 2004 e il 2005, i documenti da cui sono emersi i cinquantasei paralipomeni (si veda il catalogo della mostra Da Montale a Montale, a cura di Cremante, Lavezzi e Nicoletta Trotta, C.L.U., 2004).
Progetto e ordine del volume che ora li accoglie non sono dovuti all'autore ma ai curatori, per quanto fra testi vicini si rintraccino spesso chiare connessioni tematiche. Non si tratta dunque di un libro di poesia in senso forte, né di un postremo (il nono?) canzoniere montaliano. Ciò anche a dispetto del titolo all'apparenza genuino: i modelli sono La casa dei doganieri e altri versi e La bufera e altro, mentre l'indicazione geografica "di Olgiate" fa pensare a Farfalla di Dinard. Il volume è perciò un unicum nell'opera poetica di Montale, distinto sia da Altri versi sia dal Diario postumo: se alla raccolta dei primi collaborarono tanto l'autore quanto gli editori dell'Opera in versi, l'ideazione del secondo sarebbe, qualora se ne ammetta l'autenticità, interamente dovuta a Montale. Per questo la definizione di "falso d'autore", spesso attribuita al Diario postumo, è quasi più appropriata per la Casa di Olgiate: se in questo caso è fuor di dubbio l'autenticità dei testi, non lo è infatti la legittimità della raccolta, presentata come un libro di poesia quando le sedi migliori per far leggere questi versi sarebbero state un'appendice o un apparato. Sospendendo il giudizio di valore sui testi, pure espresso in termini riduttivi da altri recensori (ma la qualità media non si discosta dalle poesie già note dell'ultimo Montale), è la forma dell'operazione che resta incerta: i testimoni dei componimenti (cioè due quaderni per appunti, uno di carta a mano rilegato a Venezia da Piazzesi, l'altro quadrettato, con Braccio di Ferro in copertina) contengono infatti anche molte poesie entrate, vivente l'autore, nel Quaderno di quattro anni e in Altri versi.
La casa di Olgiate è dunque un volume di residui, la cui unità si fonda e contrario sulla dialettica tra inclusione e scarto. Eppure, sulla perplessità prevalgono alla fine sia la meraviglia per la persistenza della voce e del prestigio anche editoriale del poeta in un secolo cui più non appartiene, sia l'apprezzamento nei confronti di Cremante e Lavezzi che hanno contribuito a rendere tangibile questa durata. Il lavoro dei due editori è stato filologicamente e criticamente accurato: al primo si deve il giusto inquadramento critico che i versi ricevono nell'introduzione; merito della seconda è l'aver ricostruito i contesti e illustrato molti dei contatti tra le cinquantasei poesie e il resto della produzione montaliana.
I tratti salienti della raccolta sono in gran parte comuni al "rovescio" della poesia di Montale. In sintesi: demistificazione umoristica e abbassamento della storia al livello della cronaca (il corrispondente strumento stilistico è l'uso frequente di frasi interrogative, a revocare in dubbio le apparenti certezze dei più); presenza di apologhi sugli animali, osservati o come manifestazioni minime di un'esistenza cui l'io sembra voler tendere, o come alternativa alla società degli umani (vengono in mente le Operette morali); riflessione sul tempo e sullo spazio, spesso in chiave "cosmicomica"; motivi metapoetici e tecniche autocitatorie, ancora soprattutto in funzione demistificante (su Bibe al Ponte all'Asse, ad esempio); riapparizioni desublimate di Clizia, direttamente citata o evocata per via simbolico-allusiva (attraverso san Bonaventura, o l'immagine del bovindo); continuità fra i temi e i personaggi della poesia e quelli della prosa (Ezra Pound, il cane Galiffa, Giovanna l'amica di Clizia); contenuta immissione di forestierismi d'attualità (crac, presente anche in Satura nella medesima accezione finanziaria; summit, in coppia con "cacume" anche nel Quaderno di quattro anni, a formare il v. 2 di Epigramma; surplus, ancora in Satura), di voci gergali ("gallozoppo") e di tracce del sermo humilis ("puzzonata", "andate a farvi f."), rare ma più decise che in altre raccolte.
In conclusione, un cenno sull'inizio e sulla fine. La poesia La casa di Olgiate emerge rispetto agli altri testi sia per la misura, sia per il riuso allusivo ma non autoironico di tessere e immagini che passano dal Montale canonico (specie da La casa dei doganieri) a un Montale in sordina, capace – come i migliori poeti della generazione successiva – di addomesticare il sublime senza rovesciarlo. A tempo perso, la quartina che i curatori hanno posto a sigillo del volume, esalta l'effetto esplicitario rinnovando un'ipotesi di deflagrazione universale già altrove accarezzata dal Montale postbellico: proprio in un finale, quello di Racconto d'uno sconosciuto in Farfalla di Dinard.  (Niccolò Scaffai)


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