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Federico Silvestri

Nato a Milano il 20/01/1977
Email: silvestri@iss.it
 
Laurea in Filosofia presso l’Università degli studi di Milano (Novembre 2005) 110/110 summa cum laude. Relatore: Gianfranco Mormino
Titolo: Convenzionalismo e verità in Hobbes e Leibniz. Tesi di laurea vincitre del premio “Lucio Colletti”, edizione 2005.
 
Dottorato in Filosofia, Università di Pavia (Novembre 2006/ ottobre 2009, conseguito il 12 luglio 2010): Tutor: Luca Fonnesu.
Titolo: La causalità in Leibniz: modelli meccanici e cause finali. 
 
Riassunto tesi: La tesi ha per oggetto la ricostruzione della nozione di causa finale e della sua relazione con l'adozione di modelli meccanici nell'opera di Leibniz, nonché del ruolo che essa svolge nell'ambito scientifico e riguardo il problema della spiegazione dell'attività delle sostanze.
Nell'introduzione si forniscono alcuni cenni storici sulla polemica secentesca sulle cause finali, e sulla storia del concetto di causa finale che è alla base di questa polemica, mentre il primo capitolo è dedicato all'analisi dei testi giovanili. Questo si concetra principalmente sull'interpretazione che Leibniz offre del meccanicismo, fortemente influenzata da Hobbes, e sulla relazione di questa intepretazione con la nozione di ordine alla base dell'Hypothesis physica nova. L'intento è mostrare come questa concezione, congiuntamente alle teorie della creazione, non definisca e non richieda un ruolo per le cause finali, la cui difesa esplicita si ritrova nei testi solo a partire dal biennio 1677-78.
Il secondo capitolo affronta dunque la riscoperta delle cause finali, situata all'incrocio di problematiche teologiche e scientifiche. Affrontando le tesi di Descartes, Hobbes e Spinoza, Leibniz propone, in difesa di questo concetto, alcuni suoi usi innovativi, specialmente in ambito scientifico, che definiscono un ruolo compatibile con la chiusura del modello meccanico. In primo luogo, Leibniz ritiene che le cause finali possano avere un ruolo euristico nella scoperta delle leggi di natura e, secondariamente, che possano rappresentare un modello esplicativo, autonomo rispetto a quello delle cause efficienti ed universalmente valido. Se questi argomenti poggiano su una rinnovata teoria dell'azione divina come scelta del meglio, essi trovano la loro esemplificazione, e la loro prova, nel caso della legge di rifrazione. Il terzo è la tesi per cui sebbene il meccanicismo possa spiegare esaustivamente i fenomeni naturali, non è in grado di fondare i propri principi, poiché i principi della meccanica e le leggi di natura dipendono da un insieme di principi architettonici, espressioni della cause finali ed indici della sapienza e della saggezza dell'autore delle cose, sebbene questo argomento raggiunga la sua formulazione matura solo nel Tentamen Anagogicum, grazie ad una reinterpretazione del principio di semplicità nel caso della riflessione su superfici curve.
Il terzo capitolo tratta della finalità negli enti naturali, sia per quel che concerne il ragionamento finalistico in biologia, sia per quel che concerne l'attività degli enti creati. Sebbene i due ambiti siano connessi dalla tesi dell'armonia prestabilita, l'ultimo aspetto è cruciale nella definizione del ruolo causale del fine. Mentre gli argomenti analizzati nel secondo capitolo stabiliscono un ruolo per la teleologia che non implica un effettivo causalità del fine nei mutamenti naturali, Leibniz sembra qui identificare nelle cause finali il tipo più fondamentale di causalità, laddove sostiene che le sostanze create (almeno quelle razionali) agiscono secondo la legge delle cause finali. Si cercherà invece di mostrare che, anche riferita al concetto di attività, la distinzione tra cause efficienti e finali deve essere intesa come distinzione tra modelli esplicativi che non mette capo a diversi generi di casue, sia che li si intenda come diverse tipologie che concorrono ad uno specifico mutamento causale, sia che si cerchi di stabilire una forma di dipendenza metafisica dell'uno dall'altro.

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